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= % - Referendum non valido |
La battaglia è ancora lunga ... scrivevamo soltanto il 19 aprile del 1999. Facili profeti, potremmo dire.
Sì, non è passato neanche un anno ed eccoci di nuovo costretti ad occuparci delle medesima questione. E' ormai evidente che c'"inviteranno" (virgolette d'obbligo) a votare questo referendum sino a che non ci saremo stancati.
Per questo motivo la memoria storica di queste pagine assume un sapore particolare. Vale purtroppo la pena rileggerle perché quello che sta andando in onda in questi giorni è un film sì già visto, ma con un finale che potrebbe essere diverso.
E le premesse per un brutto finale, diciamocelo francamente, ci sono già tutte. Pensare di poter temporeggiare con tattiche dilatorie in ordine al comportamento da tenere (come dimenticare, lo scorso anno, l’atteggiamento incerto di chi ha accettato le ragioni dell'astensione soltanto pochi giorni prima del voto?), questa volta potrebbe rivelarsi fatale.
Molti più quesiti referendari in ballo, quindi molti più interessi, ma, soprattutto, pochissima chiarezza sui problemi realmente in campo.
E' di questi giorni (Congresso dei DS) il no ai referendum cosiddetti "sociali" da parte del Presidente del Consiglio D'Alema.
Non si tratta, come molti pensano e come è nello stile della persona, di un no dai mille volti.
Tutt'altro. Si dice chiaramente che si farà l'opposizione ai referendum non per contestare la matrice liberista che li ha ispirati, bensì perché è già nell'ordine delle cose una riforma della società nella stessa direzione, una riforma che va però governata e non lasciata alla roulette delle leggi di risulta prodotte dai referendum.
Insomma, nessuna forma di opposizione pregiudiziale sul merito, ma solo una critica sul metodo. Per il resto, gli obiettivi strategici di questo Governo, dei radicali e della destra liberale coincidono.
Non una critica all'attacco portato ai diritti in quanto tali e alle forme che concretamente ne permettono l'esercizio senza condizionamenti. No, anche per la sinistra "I Care" la società deve rinnovarsi e con essa le garanzie che sino ad oggi hanno impedito all'impresa, il soggetto forte, di poter abusare dei diritti dei lavoratori. E del resto, non viviamo in tempi di pace sociale? Perché mai tutelare i soggetti più deboli se non c'è conflitto? E in ogni caso, l'interesse dell'impresa non è alla base dell'interesse di tutta la società e, quindi, anche dei lavoratori?
Che si rivedano, quindi, tutte le vecchie concezioni fondate sul conflitto di classe o sul conflitto tra soggetti forti e soggetti contrattualmente deboli.
E per chiudere il cerchio di questo discorso, non poteva allora mancare l'adesione convinta al referendum elettorale.
Tolto il conflitto sociale dalle nostre teste, al punto che non si sente più la necessità di regolarlo giuridicamente, è bene farlo sparire del tutto anche nelle forme "rappresentate".
Una bella semplificazione attraverso un maggioritario "tosto e puro", ed eccolo là che il conflitto sparisce pure dai banchi del Parlamento.
Che dire, sempre più liberi di non contare.
Ma non subito, dopo i referendum.
Prima, infatti, ci chiederanno di partecipare alla nostra impiccagione politica. Perché non è bello che una maggioranza totalitaria decida su questioni che ancora generano un certo imbarazzo, e per di più senza ricevere una qualche forma di legittimazione formale da parte delle minoranze.
Un gioco al gatto con il topo, questo, nel quale è facile correre il rischio di cadere.
Da un lato c'è chi si sta illudendo che la sinistra possa ritrovarsi attorno al "no ai referendum sociali", vedi "il manifesto" di questi giorni e l'invito neanche troppo nascosto di Valentino Parlato di non promuovere l'astensione (chi scrive spera vivamente di avere frainteso), senza appunto tenere conto che il no di molti equivale ad un NI con parecchi sì e pochi no; dall'altro i realisti della politica, gli ossessionati dal "risultato" che pur di strappare qualche vittoria "formale" sono disposti a rinunciare alle battaglie di principio, disposti a rinunciare, di fatto, a quella chiarezza politica senza la quale è illusorio pensare di poter fronteggiare la deriva liberista e antidemocratica che sta dilagando nel senso comune.
Non ci sarà quindi da sorprendersi se da domani vedremo dispiegarsi un vero e proprio muro di fuoco contro l'unica proposta politica, l'astensione, in grado di affermare la priorità del rispetto dei diritti su ogni ipotesi di riforma della società fondata sul consenso di una maggioranza totalitaria.
Chi scrive spera di sbagliare, ma si preannunciano tempi duri.
Sul referendum pesa il rischio astensionismo.
Secondo un sondaggio Swg su un campione rappresentativo di 600 persone, la maggioranza dei cittadini (87,5%) sa che si andrà alle urne ma solo il 34% degli intervistati, andrà sicuramente a votare. Sul quesito per abrogare l'obbligo di reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa, il 56% del campione è contrario alla cancellazione della norma.
il sole 24 ore - 10/02/2000 |