Con l’abrogazione dei primi tre articoli della legge 3 giugno 1999 n°157 ("Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici") si afferma che "verrà meno ogni forma di rimborso, e i partiti dovranno necessariamente "rassegnarsi" a non pesare più sul bilancio dello Stato e a raccogliere finanziamenti privati e, soprattutto, volontari" (la parte in corsivo proviene dalle pagine informative sui referendum del partito Radicale: www.radicali.it).
Al di là della prosa accattivante, il risultato abrogativo nasconde una doppia truffa ai danni degli elettori.

In primo luogo è facile constatare come l’obiettivo dichiarato non sia l’ennesima lotta alla "partitocrazia", visto che il risultato del referendum sarà proprio quello di rafforzare un sistema di potere ancora peggiore perché indissolubilmente legato all’esigenza di procurarsi dei "finanziatori". Un vero e proprio regime nel quale gli interessi politici che potranno emergere saranno soltanto quelli di chi sarà in grado di "pagare" la politica.
Il quesito, infatti, anziché porsi il problema di porre tutti i soggetti politici in una situazione di sostanziale uguaglianza, togliendo il "di troppo" a chi oggi in vario modo lo riceve, peggiorerà ulteriormente l’attuale situazione di discriminazione politica a danno delle minoranze, visto che ad essere penalizzati dal mancato finanziamento pubblico saranno soltanto i settori sociali più deboli non in grado di finanziare adeguatamente chi potrebbe rappresentarli.

Ma al di là dell’aspetto politico del quesito, c’è un aspetto inquietante proprio sotto il profilo della legittimità costituzionale, tanto più che non è affatto vero che, grazie a questo referendum, si raggiungerà il risultato di abolire del tutto il finanziamento pubblico dei partiti a carico dello Stato.
Per niente affatto! Altre norme attraverso le quali è possibile destinare risorse agli interessi politici, altrimenti destinate ad essere incassate dallo Stato, non vengono toccate dal referendum.
Gli effetti del referendum, infatti, sono quelli di mantenere in vita le sole destinazioni di risorse verso i soggetti politici in grado di attivare le cosiddette "erogazioni liberali in denaro", come stabilito dall’art 13 del Dpr 22 dicembre 1986 n° 917 e successive modificazioni (Testo unico imposte sui redditi):
Art. 13 comma 1-bis
Dall’imposta lorda si detrae un importo pari al 19% per le erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti e movimenti politici per importi compresi tra 100.000 e 200 milioni di lire effettuate mediante versamento bancario o postale.

Chiamando allora le cose con il loro vero nome, si scopre che una forma di finanziamento pubblico dei partiti rimarrebbe in vita, con i vari Berlusconi che potranno continuare a finanziare i propri interessi politici con l’aiuto delle detrazioni fiscali, cioè a spese del bilancio statale.
Non soltanto, quindi, un sistema che dà voce al solo potere economico; ma anche la possibilità, per il potere economico, di utilizzare l’aiuto pubblico (i soldi di tutti i cittadini) per soddisfare proprie specifiche esigenze d’intervento politico.
Una diseguaglianza sostanziale ed un potere discrezionale di assegnazione delle risorse in grado di rendere lettera morta gran parte dei diritti politici sanciti in Costituzione.

Franco Ragusa (CO.P.A.R. – Comitato politico per l’astensione ai referendum)

http://web.tiscalinet.it/astensione