Gustavo Zagrebelsky è stato Giudice costituzionale dal 1995 al 2004.
Anni nei quali ha certamente avuto modo di dare un importante contributo al processo di elaborazione di quei principi ai quali la Consulta si ispira in occasione dei giudizi di ammissibilità dei referendum abrogativi, con particolare riguardo ai referendum cosiddetti elettorali.
Principi ormai consolidati, e su questo si può legittimamente dissentire, ma rispetto ai quali appare sorprendente sperare, tanto più se tale aspirazione proviene da un ex Giudice costituzionale, che possano essere ribaltati da una sentenza all’altra.

Certo, i tempi cambiano, anche i Giudici costituzionali cambiano, ma rivolgersi al senso comune, promanando l’idea che tutto possa divenire il contrario di tutto, perché la particolarità della situazione potrebbe richiederlo, bene, questo è proprio quanto non ci si può aspettare da una personalità della levatura di Gustavo Zagrebelsky.
Ma è il caso di procedere con ordine.
Soltanto nel 2008, con le sentenze di ammissibilità dei quesiti elettorali “Guzzetta”, e in forma estremamente chiara, la Corte Costituzionale ha ribadito le condizioni per l’ammissibilità dei quesiti abrogativi in materia elettorale:
I requisiti fondamentali di ammissibilità dei referendum abrogativi concernenti leggi elettorali, così come delineati dalla citata giurisprudenza di questa Corte, implicano, come conseguenza logica e giuridica, che i quesiti referendari, oltre a possedere le caratteristiche indispensabili fissate sin dalla sentenza n. 16 del 1978 – chiarezza, univocità ed omogeneità – non possono avere ad oggetto una legge elettorale nella sua interezza, ma devono necessariamente riguardare parti di essa, la cui ablazione lasci in vigore una normativa complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo.”

Tornando, quindi, ai due quesiti oggi all’esame della Consulta, c’è da rilevare che il primo incide nella sua interezza, in quanto prevede l’abrogazione totale del Porcellum. Ma per l’appunto, soltanto ieri l’altro la Corte ha detto che non si può.
Per quanto riguarda invece il secondo, che taglia qui e là, è sin troppo evidente che lascerebbe, in ogni caso, la legge incompleta, in quanto non sarebbe possibile aggiungere, attraverso l’abrogazione, quei collegi uninominali che nell’attuale legge non sono previsti.
E sempre ieri l’altro, nel 2008, la Corte ha detto che non si può lasciare un organo costituzionale in condizioni di paralisi.
Rimanendo quindi in quest’ambito, speranze per l’ammissibilità non dovrebbero esserci.
Ma allora, in cosa confida il Comitato Promotore?
Non potendo aggiungere ciò che nella legge da sottoporre a referendum abrogativo non c’è, la tesi del Comitato è sempre stata che, abrogando le parti con le quali la precedente legge elettorale è stata a suo tempo modificata, non si rimarrebbe in presenza di un vuoto normativo, ma si “ripristinerebbe” la precedente legge: la cosiddetta reviviscenza o riespansione.
Si tratta di una tesi alla quale si può facilmente aderire?
Per opportunità politica forse sì; ma sotto l’aspetto della dottrina lo scenario è a dir poco apocalittico e l’argomento è sempre stata considerato, almeno sino a pochi mesi fa, poco più che una curiosa trovata dalla gran parte dei costituzionalisti e dei giuristi.
Tant’è che anche lo stesso Zagrebelsky, nell’intervista di oggi a Repubblica,  a poche ore dalla decisione della Consulta sui due quesiti Morrone-Parisi, argomenta in maniera diversa le modalità del ritorno della precedente legge elettorale.
Dall’ex Giudice costituzionale arriva infatti l’invito alla “Corte di considerare argomenti nuovi, su cui non ha avuto modo di pronunciarsi finora.”
E proprio per questo motivo, il quesito sino ad oggi ritenuto il meno ammissibile, quello con il quale si chiede l’abrogazione totale della legge elettorale, è l’argomento nuovo da prendere in considerazione: la “particolare natura delle leggi elettorali” sostiene Zagrebelsky, “comporta che quando gli elettori chiedono l’abrogazione di una nuova legge, lo fanno perché vogliono rimanere com’erano: preferiscono la vecchia alla nuova”.
Una tesi non nuova, a dire il vero, trattandosi, in parte, di un vecchio cavallo di battaglia dei radicali.
Una tesi che sino ad oggi non è riuscita a farsi strada per un vizio di fondo, sostiene Zagrebelsky, “Perché in generale, nella giurisprudenza della Corte Costituzionale è prevalsa l’idea del Referendum come legislazione negativa.”
Dal ragionamento svolto, se ne desume, quindi, una portata del referendum abrogativo con dei confini più ampi: non soltanto il potere di cancellare, ma ha anche quello di poter sostituire una legge con un’altra.
Una forma di referendum che, per la particolare circostanza, assumerebbe i caratteri del referendum di tipo propositivo.
A prescindere dalle diverse opinioni circa la necessità o meno di dotarsi di questo tipo di referendum, si può solo rilevare che tale strumento non è oggi nella disponibilità di nessuno.
In altre parole, più da politico che da costituzionalista, Zagrebelsky sta in qualche modo cercando di far entrare dalla finestra ciò che non è stato fatto entrare dalla porta principale dai costituenti.
Ma l’aspetto più grave della forzatura, e che non avendo a disposizione uno strumento che in maniera chiara sottopone agli elettori delle proposte definite, si è costretti a compierne una seconda.
Di fronte ai numerosi cittadini che hanno sottoscritto i quesiti Parrisi-Morrone, sulla spinta di un profondo malessere determinato da una legge elettorale che assegna un premio di maggioranza senza prevedere criteri minimi e che non permette di scegliere i propri rappresentanti, anche il costituzionalista Zagrebelsky è pronto a mettere la mano sul fuoco riguardo ad una preferenza certamente espressa.
Ma se sono i guasti del Porcellum ciò che affligge gli elettori, come e perché l’alternativa al Porcellum potrebbe essere costituita da una legge che presenta i medesimi problemi?
Se si parla di certezze, e sulla base di queste si può affermare di trovarsi di fronte ad una volontà non meramente negativa, l’esame del merito non può essere evaso.
Ma è proprio facendo questo e mettendo a confronto le due leggi elettorali, il Porcellum ed il Mattarellum, che si evidenzia l'impressionante similitudine tra le due leggi, con particolare riguardo al malessere ampiamente diffuso tra i cittadini.
Entrambe le leggi “regalano la maggioranza parlamentare a chi la maggioranza non ce l’ha”, tanto per usare un’espressione ampiamente utilizzata durante la raccolta delle firme contro il Porcellum.
Ed entrambe le leggi regalano questa maggioranza senza la necessità di  raggiungere una soglia minima di voti.
La somma di tanti collegi uninominali vinti al 30%, produce gli stessi risultati negativi ed antidemocratici di un premio di maggioranza assegnato, con lo stesso criterio, a livello nazionale.
E a conferma di ciò è sufficiente fare due conti tra i voti realmente ottenuti e i seggi conquistati dalle forze politiche vincenti durante le passate esperienze con il Mattarellum, con premi in seggi nell’ordine delle due cifre percentuali.
Riguardo, invece, all’impossibilità di poter scegliere i propri rappresentanti, a causa delle liste bloccate, prendere o lasciare in toto, presenti nel Porcellum, gli stessi problemi li abbiamo già sperimentati, in misura addirittura maggiore, proprio con il Mattarellum.
Per il 25% di quota proporzionale alla Camera, infatti, siamo in presenza di liste bloccate; e, per dirla tutta, le liste bloccate sono un’invenzione del Mattarellum.
A questa limitazione, c’è poi da aggiungere l’impossibilità di scegliere i candidati chiamati a rappresentare la forza politica che s’intende portare al Governo del Paese, perché nel collegio uninominale c’è un solo nome a disposizione, prendere o lasciare.
Peggio ancora se in presenza di coalizioni. L’elettore che non vuole infatti danneggiare la coalizione che preferisce, è costretto a votare l’unico candidato a disposizione, che in ipotesi potrebbe essere un esponente di una forza politica a lui lontano; mentre con il Porcellum, quanto meno, l’elettore ha la possibilità di scegliere quale singola forza politica favorire nell’ambito della coalizione.
Messi quindi sulla bilancia i difetti delle due leggi che vengono denunziati e ritenuti non più tollerabili, questa non potrà che pendere da una sola parte, e non perché una legge potrebbe essere meglio dell’altra, ma perché entrambe si troverebbero ad occupare il medesimo lato.
Ma se questo è il risultato dell’analisi sul merito e gli effetti che le due leggi sono in grado di produrre, siamo ancora sicuri di conoscere la soluzione desiderata dai cittadini che hanno firmato sulla spinta del desiderio di cancellare, prima ancora che il nome di una legge, le norme intollerabili che impediscono di scegliere e che sono in grado di regalare la maggioranza a chi la maggioranza non ha?

Per concludere, che lo strumento abrogativo abbia dei limiti è questione antica.
Che si possa condividere la poca opportunità di avere questi limiti e un’opinione certamente legittima. Ma il pensare di poterli superare proponendo scorciatoie, tanto più sorprendenti se espresse da un “Maestro” del diritto costituzionale, questo è quanto di peggio è già stato fatto in passato, ed è la causa principale dell’insorgere del male che ha infettato tutta la vita politica e istituzionale di questo Paese: il berlusconismo.

Franco Ragusa