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Purtroppo, di nuovo in evidenza: Stop Racism
Vannino Chiti: temo il referendum, ostacola il partito democratico
Il ministro delle Riforme: «Tre modifiche alla Costituzione: meno parlamentari, premier forte, ruoli diversi per Camera e Senato»
corriere della sera


Riposta in un cassetto nelle ore del «grande equivoco» con Prodi, la «bozza Chiti» rispunta sul tavolo delle consultazioni del premier con i partiti. «Si riparte da qui» rilancia il suo ruolo il ministro delle Riforme, dove il «qui» è una proposta organica per un nuovo sistema di voto proporzionale e tre importanti leggi costituzionali, il tutto da approvare in poco più di un anno e mezzo. E il referendum? «Chi lo sponsorizza non vuole il Partito democratico».

Ministro, ci sveli cosa contiene la sua «bozza» di riforma.
«Martedì riprendono le consultazioni e non partiamo da zero, ma dai punti fondamentali della bozza, da un'ipotesi di accordo per costruire tre leggi di riforma costituzionale e una riforma elettorale. Se Maroni, Casini, Fini e Berlusconi mantengono la disponibilità espressa il giorno della fiducia, questa volta si può davvero arrivare a un'intesa, un patto di comportamento da siglare entro aprile e che contempli i tempi di approvazione. Possiamo farcela, entro la fine del 2008».

Prendere o lasciare?
«No, ma nessuno ha diritto di veto. Se la maggioranza è d'accordo e l'opposizione invece dimostra una indisponibilità a procedere, si farà una valutazione sul peso di quei settori della Cdl che invece sono in campo per giocare la partita».

Prima tappa?
«Tre leggi costituzionali per il bene dell'Italia. La prima è la riduzione del numero dei parlamentari a 400 deputati per la Camera e 200 senatori. Ma dalle prossime elezioni e non dal 2016, perché non sarebbe serio. La seconda legge serve a rafforzare i poteri del premier, in tre passaggi. La fiducia si vota al candidato che ha vinto le elezioni, il capo del governo nomina e revoca i membri del governo ed è previsto il ricorso alla sfiducia costruttiva».

Terza legge costituzionale?
«La differenziazione del ruolo tra Camera e Senato. E qui ho riscontrato una situazione strana, tutti sono d'accordo ma poi si dicono scettici sulla possibilità di realizzarla, perché la deve votare il Senato».

La sua proposta per la riforma del sistema di voto.
«La legge elettorale che io vedo è questa. Si dichiarano le alleanze, si indicano i candidati premier e, punto cardine delle scelte da fare, si determina uno sbarramento...».

Alt. Qual è la sua soglia?
«Si deciderà insieme. Ma certo lo sbarramento deve essere inversamente proporzionale al premio di maggioranza. E poi io immagino circoscrizioni elettorali piccole, una per provincia e più di una per le province più grandi».

Niente preferenze?
«La gran parte delle forze politiche ha detto no. A me pare che questo pacchetto, riforma elettorale e tre leggi costituzionali, possa funzionare».

Legge elettorale modello Chiti?
«È un proporzionale corretto, con premio di maggioranza e la possibilità per i cittadini di scegliersi coalizione e rappresentanti».

Sicuro che piaccia a Prodi?
«Nel nostro cuore, nel mio e in quello di Prodi, c'è il modello francese, ma non c'è alcuna possibilità di arrivare a un accordo sul maggioritario con uninominale a doppio turno, piuttosto è più probabile un'intesa sul sistema tedesco».

Proprio quello che l'ha fatta litigare con Prodi. Nella sua lettera ai capigruppo lei chiedeva se ci fosse o no accordo sul sistema tedesco...
«Non c'è stata una questione personale tra premier e ministro, ma c'erano due punti non chiari che rischiavano di incrinare i rapporti con i gruppi parlamentari. Il primo, il modo in cui la decisione di guidare il processo si collegava a quel che era stato costruito sinora, cioè i colloqui che io, d'intesa con il premier, avevo svolto con i partiti. Secondo aspetto, senza una intesa preliminare c'era il rischio di andare allo sbaraglio in Aula».

Per questo ha disertato il Consiglio dei ministri?
«Finché non è chiaro cosa si intende fare, uno si ferma e sta zitto».

E magari pensa alle dimissioni.
«La linea del governo la sceglie il premier e se i ministri non la condividono ne possono trarre le conseguenze, ma non si è arrivati a questo. Con Prodi ho un rapporto molto forte, anche personale, di stima e di affetto. Non c'era una sfida, né un braccio di ferro, ma una rigorosa esigenza di chiarezza su una azione che avevamo deciso assieme e che assieme va portata avanti».

Grazie anche all'energica pressione di Fassino.
«Sia io sia il segretario avevamo la necessità ferma di un chiarimento. Prodi ha la consapevolezza di poter accompagnare la riforma e credo che questo sia un atteggiamento comune sia a Fassino sia a Rutelli».

Non sarà che Prodi ha avuto paura delle larghe intese?
«Penso che me lo avrebbe detto se avesse avuto dubbi di questo tipo. Che Prodi possa avere visioni dietrologiche o di complotti nei miei confronti no, non ci credo. Semmai, sono convinto che maggioranza e opposizione si rendano conto che un governo istituzionale sarebbe ambiguo e metterebbe fine al bipolarismo. Un governo tecnico? Metterebbe in scacco la politica».

Boselli ha detto che Prodi teme «una legge contro di lui».
«Forse Boselli sa qualcosa che io non so».

C'è anche chi sospetta un «patto» tra Prodi e Berlusconi...
«La mia forma mentale non contempla nulla del genere. Berlusconi è un interlocutore fondamentale, anche se ogni tanto apre e ogni tanto chiude e non si rende conto che la sua proposta non è accettabile. Qual è la ratio di modificare la Costituzione per inserire il premio di maggioranza nazionale al Senato, invece che raggiungere una intesa che risolve i problemi dell'Italia?».

Lei teme il referendum?
«Si, lo temo davvero e non ritengo giusto che esponenti del governo stiano nel comitato. È stato merito di Prodi cogliere che l'iniziativa referendaria era un problema e decidere di costruire una risposta parlamentare. Il referendum è anche un ostacolo per il Partito democratico».

Ma tra i sostenitori del referendum c'è anche Parisi, il «padre» dell'Ulivo.
«Per superare la frammentazione, Parisi ritiene utile il colpo di spada della consultazione popolare. Ma sponsorizzare il referendum vuol dire non volere il Partito democratico».

Monica Guerzoni