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Purtroppo, di nuovo in evidenza: Stop Racism
Stefano Ceccanti - l'Unità

La scelta di andare da soli o, meglio, liberi, era già stato un bell’anticipo di programma.

Le idee ben articolate che si trovano nel testo sono coerenti con quella scelta che ha terremotato la campagna e che ha anche semplificato la sua redazione: niente più frasi di compromesso che spostano in avanti le scelte reali o di resa a veti di alleati.
E’ per questo, come eravamo stati i primi a fare quella scelta, che siamo stati anche i primi a presentare il programma, battendo non solo il Pdl (che al momento è più una lista elettorale che un partito vero e proprio), ma anche gli altri partiti identitari, di sinistra, di centro e di destra.
Quale idea forte vuole trasmettere il programma è presto detto: quello di una politica che si rialza e corre, che aiuta il Paese a crescere anziché soffocarlo in una spirale di veti. In effetti i lunghi anni di una transizione strabica, in cui il frutto positivo del bipolarismo si è accompagnato al male della frammentazione, tranne alcuni momenti forti, in particolare il primo biennio del Governo Prodi I, hanno trasmesso al Paese l’immagine di una politica strutturalmente incapace di decidere, come chiusa in un sepolcro di autoreferenzialità. Una politica come Lazzaro, in attesa di essere richiamata alla vita, alla propria dignità.
I primi commenti si sono in gran parte incentrati soprattutto sulle novità in ambito economico-sociale. Qui mi limito, su questi aspetti, a segnalare un’importantissima novità culturale. La disciplina dei conflitti di interesse è inserita al punto 8, quello delle “imprese più forti,per competere meglio” dove si afferma: “I conflitti di interesse vanno rimossi nella nuova logica dell'intervento pubblico: li elimina uno Stato che fa meno gestione diretta, concentrandosi su leggi antitrust.” Vedremo se altri programmi saranno in grado di affermare in modo così netto una logica pienamente liberaldemocratica, ispirata alla libera concorrenza, senza cadere in una difesa dei propri interessi ed equilibri o, all’opposto, in una logica meramente antiberlusconiana.

Mi soffermo poi su altre due questioni, quella istituzionale e quella relativa all’espansione dei diritti civili. Sulle istituzioni quasi tutto era già stato chiarito nei mesi scorsi e andava semplicemente ribadito, a partire dall’opzione fondamentale di “un bipolarismo fondato su grandi partiti a vocazione maggioritaria”. La politica può rialzarsi e correre anche in Italia solo con gli standards di tutta Europa: uno snello Governo di legislatura con corsia preferenziale sulle proprie proposte, una sola Camera che prevale nelle leggi, il divieto di costruire gruppi parlamentari non corrispondenti a forze che si siano già presentate col proprio nome e simbolo, un quadro aggiornato di garanzie e contrappesi.
Sul nodo del sistema elettorale il testo ribadisce che lo strumento privilegiato, anche per rispondere ai referendum che sono semplicemente rinviati e che pendono di nuovo positivamente anche sulla prossima legislatura, sarebbe il collegio uninominale a doppio turno di tipo francese. Non vi è una stretta necessità di associarvi anche l’elezione del Presidente perché l’evoluzione di questi mesi, in cui tutte le principali forze politiche nazionali hanno rimarcato con forza la scelta di un proprio candidato Premier, dimostra che in realtà vi è già una bipolarizzazione nazionale su leaders Presidenti del Consiglio. Anche in Italia, come quasi ovunque in Europa, sembra bastare un’unica competizione, un’unica scheda, per scegliere bene deputato e Governo.
Trattandosi di regole, su cui l’intesa con le forze più rappresentative è necessaria senza forzature unilaterali, “Il PD è disponibile anche ad esaminare ipotesi di sistemi elettorali diversi, a condizione che possano corrispondere alla medesima finalità”, cioè quella di chiudere la transizione fondandola sui grandi partiti a vocazione maggioritaria, senza quindi concessioni a restaurazioni proporzionalistiche più o meno aggiornate.

Per ciò che concerne i diritti il programma adotta un approccio al tempo stesso efficace e pragmatico: non ne fa un capitolo a parte perché non li concepisce al di fuori di una visione complessiva della crescita del Paese e perché un elenco ulteriore di diritti rispetto a quello, pur aperto, della Costituzione, avrebbe un senso prevalentemente ideologico. Li segnala però con precisione, avendo cura di tutelare tutti i principi in gioco, nei punti in cui ciò appare più coerente con l’effettiva tutela della persona. Per limitarci ad alcuni esempi, rispetto alle questioni potenzialmente più conflittuali, fanno parte di esigenze di giustizia fin qui disconosciute sia il testamento biologico la cui funzione è di”prevenire l’accanimento terapeutico” sia il riconoscimento “dei diritti, prerogative e facoltà delle persone stabilmente conviventi indipendentemente dal loro orientamento sessuale”, come si era cercato di fare da parte dei ministri Pollastrini e Bindi con l’equilibrato compromesso che aveva portato ai Dico e rispetto al quale non sono comunque apparse finora proposte più condivise e convincenti.
Rientra nello Stato sociale e nella tutela della salute l’impegno ad attuare la 194 “anche alla luce delle nuove possibilità offerte dalla scienza, in tutte le sue parti” (allusione evidente sia per un verso alle possibilità di auto alle nascite premature sia alla Ru-486 che può e deve essere inserita nel rispetto formale e sostanziale della 194): quanto più si eviteranno polemiche ideologiche tanto più sarà possibile lavorare insieme per la prevenzione, con l’obiettivo condiviso di “un’ulteriore riduzione del numero degli aborti”.
Questo si richiede ad una politica non ideologica, tipica dei grandi partiti a vocazione maggioritaria: non di scegliere unilateralmente un unico principio o interesse, come se in una decisione politica se ne dovesse considerare uno e uno solo, in un gioco a somma zero, ma di equilibrarli, con ragionevolezza e ponderazione. Altre realtà sociali, culturali, confessionali possono, e talora debbono, rappresentare ottiche più parziali, esporre le proprie motivazioni in un modo più assertivo anche per lanciare messaggi di riconoscimento e di carattere educativo ai propri aderenti e nella società, ma la politica che vuol fare alzare e camminare un Paese ha un dovere in più, quello di costruire ponti, sapendo per questo di non poter accontentare tutti. I ponti culturali su cui il Paese può correre.