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Rassegna di più opinioni circa la possibilità che il Presidente Napolitano possa sciogliere le Camere anche contro la volonta del Presidente del Consiglio che ancora gode della fiducia delle camere.
 

Controfirma decisiva o atto dovuto - I dubbi dei giuristi


Dino Martirano - (Corriere della sera - 15/2/2011)

La comunità dei costituzionalisti concorda sul fatto che il decreto di scioglimento delle Camere debba essere controfirmato dal presidente del Consiglio.
Emergono valutazioni diverse, invece, sul peso da dare a quella controfirma senza la quale, comunque, nessun atto del presidente della Repubblica e valido. La controfirma, dunque, si riduce a puro atto notarile dovuto, che certifica l’autenticità dell’atto del capo dello Stato, oppure ha valore sostanziale di bilanciamento perché, come spiega il costituzionalista Giovanni Guzzetta, altrimenti «verrebbero attenuate quelle distinzioni che sono la caratteristica di un sistema parlamentare rispetto a quello presidenziale»?
Michele Ainis, professore di istituzioni di diritto pubblico a Roma Tre, è convinto che la controfirma del ministro proponente assuma un peso diverso a seconda delle circostanze: quel peso dipende non solo dal tipo di atto presidenziale (concessione della grazia, nomina di un giudice costituzionale, scioglimento delle Camere, ecc.), ma anche dalle ragioni per cui 1’atto viene emanato. Si spiega Ainis: «La controfirma ha un valore sostanziale quando il governo e compartecipe della decisione di sciogliere le Camere mentre assumerebbe una cifra notarile qualora il capo dello Stato fosse chiamato a interrompere la legislatura perché il Paese è piombato dentro una crisi istituzionale grave». In altre parole, «davanti alla paralisi del Parlamento, il presidente del Consiglio non può sottrarsi alla controfirma...». Ma se il premier si rifiuta, il conseguente conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato potrebbe risolversi dopo molto tempo: «E chi l’ha detto che la Corte costituzionale non sarebbe in grado di risolvere il conflitto in una settimana?», chiosa Ainis.
Paolo Armaroli, professore emerito a Genova di diritto parlamentare, cita il costituzionalista Carlo Esposito che già negli anni 50 pose il capo dello Stato un gradino più in alto: «Il presidente, in caso di crisi del sistema, si erge a supremo reggitore dello Stato». Quindi può decidere di «sciogliere le Camere perché quello è un potere sostanzialmente presidenziale... Certo la domanda da porsi, ora, è una: abbiamo già toccato il fondo? Il presidente Napolitano, che sta facendo di tutto per salvare la baracca, ha lanciato l'allarme anche se qualcuno ha voluto leggere le sue parole come manifestazione della volontà di sciogliere le Camere. Ma non è così...».
Il professore Giovanni Pitruzzella, collaboratore della fondazione Magna Charta di Gaetano Quagliariello, ritiene «molto difficile sciogliere il parlamento senza la controfirma del presidente del Consiglio». È chiaro che siamo di fronte ad «un potere presidenziale che però può essere esercitato solo in presenza di determinate condizioni: ovvero che non ci sia più una maggioranza in Parlamento». C'è poi, la «paralisi totale delle istituzioni, ma questa è una ipotesi residualeper la quale serve comunque la controfirma del governo». E se Berlusconi rifiutasse di firmare anche davanti a una crisi istituzionale conclamata? «Lo farebbe non per motivi politici ma per un problema di legittimità costituzionale...».


Comma 88 - l'ipotesi estrema

Che cosa succederebbe se Napolitano sciogliesse le Camere?
Ainis, Capotosti e Sabbatucci ci aiutano a comporre lo scenario di cui parla tutta l'Italia politica

di Franco Insarda ed Errico Novi (Liberal - 15/2/2011)

Il fantasma del Caimano e il suo drammatico epilogo aleggiano su Roma. La polemica sull'ipotesi che il presidente della Repubblica possa sciogliere le Camere senza la controfirma del premier alimenta le polemiche e il clima di scontro. Non si tratta di un'eventualità così irrealistica, nota per esempio Michele Ainis, «ed è chiaro che se il Pdl s'impuntasse nella difesa di Berlusconi, si andrebbe ad un conflitto devastante». Così violento che altri, tra gli osservatori interpellati da liberal, rimuovono del tutto lo scenario e giudicano l'ipotesi assolutamente irrealizzabile. È il caso di Giovanni Sabbatucci: secondo il professore di Storia contemporanea della Sapienza, «ci potrebbero essere grosse tensioni sociali, tali da sfociare in scontri di piazza. Ci sarebbero degli argomenti forti per far gridare al golpe. Ma non credo», aggiunge l'editorialista del Messaggero, «che il presidente Napolitano abbia mai preso in considerazione una simile possibilità, parliamo di una persona esperta e saggia».

Entrando più nello specifico il professor Sabbatucci aggiunge: «Non ho alcuna difficoltà a dire che un'ipotesi del genere è una enormità, una stupidaggine che non sta né in cielo né in terra. Mi sorprende che costituzionalisti seri, mentre in un primo momento l'abbiano esclusa, poi la prendano seriamente in considerazione. Non esiste, né in dottrina né nella prassi e, ovviamente, non esistono precedenti. Se si fa passare l'idea che si affida alla discrezione del presidente della Repubblica il giudizio sull'eventuale fine della legislatura si va contro i principi costituzionali. Si dà, cioè, al capo dello Stato un potere di vita e di morte sul Parlamento che la Costituzione non gli assegna. Sarei curioso di conoscere l'opinione degli stessi costituzionalisti il giorno in cui presidente della Repubblica dovesse essere Silvio Berlusconi». A dire la verità, però, è liberal a sottoporre anche in forma di esercitazione immaginativa, di gioco, l'ipotesi di un presidente della Repubblica che procede allo scioglimento per superare la paralisi. Nel caso supposto, cioè, il decreto presidenziale sarebbe concepito come antidoto in una situazione di conflitto istituzionale già in corso tra governo e magistratura, magari dopo un rinvio a giudizio del presidente del Consiglio.

Sull'aspetto giuridico della vicenda il presidente emerito della Corte costituzionale Piero Alberto Capotosti non ha dubbi: «Eccezioni fino a oggi non ce ne sono state e, d'altro canto, i Costituenti hanno escluso che possano esserci e mi sembra rischioso avventurarcisi. Fino ad ora, infatti, tutti gli scioglimenti anticipati delle Camere si sono basati su un cosiddetto procedimento complesso, nel quale sono intervenuti oltre al presidente della Repubblica, quelli dei due rami del Parlamento e il presidente del Consiglio dei ministri. Spetta, infatti, a quest'ultimo controfirmare il decreto di scioglimento del capo dello Stato. Secondo la dottrina prevalente si tratta di un atto complesso nel quale appunto interagiscono il capo dello Stato e il presidente del Consiglio dei ministri che trovano un loro accordo sullo scioglimento anticipato della Camera».
Il presidente Capotosti ribadisce come non possa venire elusa quella necessaria controfirma che l'articolo 89 della Costituzione stabilisce come requisito di validità per gli atti del presidente della Repubblica: «I nostri Costituenti hanno escluso qualsiasi rilevanza per situazioni di emergenza o eccezionali che nel nostro ordinamento non sono state mai prese in considerazione, proprio evitare qualsiasi tentazione di tipo autoritario. Quindi, anche se si ritenesse di essere in una situazione di emergenza, lo scioglimento delle Camere dovrebbe essere, in linea di principio, il frutto di un accordo tra capo dello Stato e presidente del Consiglio. Credo in ogni caso che sarebbe opportuno non aggiungere delle forzature al dettato costituzionale, visto che se ne stanno già facendo molte».
Ma nell'ipotesi in cui il presidente Napolitano decida di firmare il decreto di scioglimento delle Camere e non ci sia la firma del premier si potrebbe sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale? «È un'ipotesi del tutto teorica», secondo Capotosti, «ma sul piano astratto potrebbe verificarsi.
Naturalmente bisognerebbe fare i conti con i tempi incomprimibili della Consulta: anche volendo accelerarli al massimo, l'esito del ricorso eventualmente proposto dal Quirinale arriverebbe dopo mesi, con un quadro politico nel frattempo ridefinito».

Lo scenario sarebbe diverso se il premier fosse condannato, con l'interdizione dai pubblici uffici. Secondo il professor Sabbatucci a quel punto «ci troveremo di fronte a una crisi vera, perché il presidente del Consiglio sarebbe inibito a svolgere la sua funzione. In questo caso se il Parlamento non è in grado di esprimere un altro governo con una maggioranza diversa o con la stessa, ma guidato da un altro premier, ci sarebbe la paralisi e lo scioglimento anticipato».
E l'ipotesi di un governo di salute pubblica per Sabbatucci è «difficile, anche se il nome del candidato in pectore circola da un po'. Una soluzione del genere presuppone la fuoriuscita consensuale dalla maggioranza della Lega e di parte del Pdl. Non mi sembra che ci siano questi movimenti, anche se il Carroccio va tenuto sotto controllo, perché può in qualsiasi momento decidedere di staccare la spina. Ma se davvero tutto precipita la soluzione più corretta è quella delle elezioni che arriverebbero perché la maggioranza non ci sarebbe più e il presidente del Consiglio non potrebbe far altro che prenderne atto e controfirmare il decreto di scioglimento delle Camere».

La speculazione fantastica sul tema, d'altronde, è già un caso letterario: è in quel I 99 giorni che travolsero il Cavaliere pubblicato di recente da Fazi e insaporito proprio da una fantapolitica discesa in campo di Napolitano contro un Berlusconi rotto a ogni forzatura. «Lì si immagina pure il lieto fine», ricorda Michele Ainis. L'ordinario di Diritto pubblico dell'università Roma Tre non si fa sfuggire il paradosso: «L'anonimo autore del romanzo citato immagina un Berlusconi che va a trascorrere una serena e felice vecchiaia ai Carabi. In capo però a una fase di scontro istituzionale devastante». Circostanza che potrebbe verificarsi anche nella realtà, dice l'editorialista della Stampa. «Sì, perché gli undici scioglimenti anticipati prodotti finora dalla storia repubblicana non sono stati altro che suicidi delle Camere. Autoscioglimenti. Qui invece noi ipotizziamo un capo dello Stato che, sentiti i presidenti della Camere, interrompe la legislatura per altre sopravvenute condizioni, un premier rinviato a giudizio, un conflitto istituzionale tra esecutivo, maggioranza parlamentare e magistratura che di fatto paralizza il governo del Paese. E soprattutto, un premier che si rifiuta di controfirmare. Napolitano potrebbe vedersi costretto a sollevare il conflitto di attribuzioni come avvenne per Ciampi con Castelli nel caso della grazia a Bompressi. Potremmo ricorrere a Flaiano, per immaginare lo scenario successivo: "Gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore". E nella nostra ipotesi, le campane a morto per Berlusconi potrebbero in teoria produrre uno sfrangiamento nel Pdl». Ma il teorema Flaiano, aggiunge Ainis, è pregiudicato da due questioni: «La legge elettorale, innanzitutto, che mette il potere nelle mani dei mandarini di partito. E poi il fatto che il Pdl è il partito personale per eccellenza, che si regge sul carisma e sui quattrini del presidente del Consiglio. Tutto questo rende difficile il rompete le righe ». C'è di mezzo però la Lega, magari allettata dalla prospettiva di un incarico a Tremonti. Secondo l'autore de La cura, tutto dipenderebbe dai contraccolpi che si verificherebbero «nel blocco sociale del Pdl, partito che certo non si regge per aria: se quel blocco tenesse, si andrebbe appunto a uno scontro istituzionale devastante; altrimenti, se si sfaldasse, il finale caraibico di Godgift Philips potrebbe verificarsi in anticipo».


Intervista ad Augusto Barbera - "Non c'è il presidenzialismo, il Colle fa moral suasion"

di Calvi Alessandro (Il Riformista - 15/2/2011)

«Mi faccia fare un preambolo».

Prego. «Occorre separare il diritto dalla politica. La mia opinione politica è che lo scioglimento delle Camere sarebbe l'unico modo per uscire da questa situazione e metter fine all'era berlusconiana perché, se anche Berlusconi dovesse vincere le elezioni alla Camera, perderebbe al Senato e allora ci potrebbe essere spazio per un governo di unità nazionale, naturalmente senza Berlusconi».

E il diritto? «Sino a che il centrodestra ha la maggioranza in Parlamento le Camere non si possono sciogliere perché non è possibile scioglierle contro il governo. Sul punto Berlusconi ha ragione».

Augusto Barbera insegna diritto Costituzionale all'Università di Bologna. In passato è stato eletto in Parlamento col Pci, poi col Pds. Fu anche ministro con Carlo Azeglio Ciampi. Insomma, non è certo sospettabile di simpatie berlusconiane. Ma alla notizia dell'ultima uscita del Cavaliere sulle regole che presiedono alle crisi di governo, non si sorprende. «Conosco bene Giorgio Napoli-tano - spiega - e so quanto è affezionato alle regole del sistema parlamentare. Non mi sentirei di dire altrettanto di Berlusconi. 11 Quirinale in questa fase sta facendo opera di moral suasion, come dimostra il contenuto della nota sull'incontro dell' 11 febbraio. Piuttosto, qualche mio collega sembra confondere le proprie opinioni politiche con il diritto, subendo uno scivolamento presi-denzialista». Cosa intende? È sufficiente leggere gli articoli 88 e 89 della Costituzione per rendersi conto che non possono esservi dubbi sul fatto che il Presidente della Repubblica, se c'è un parere contrario del Presidente del Consiglio, non possa sciogliere il Parlamento in quanto gli atti del Presidente della Repubblica devono essere controfirmati dal Presidente del Consiglio. Se questi ritiene di non dare il consenso allo scioglimento perché gode della maggioranza parlamentare, ebbene c'è poco da fare.

È la conferma della centralità del Parlamento.

Siamo in una repubblica parlamentare. Tentativi di forzare i poteri del Presidente della Repubblica in passato ci sono stati ma è bene ricordare che si è trattato di tentativi di forzature in senso presidenzialistico, e del peggior presidenzialismo, quello alla Edgardo Sogno. Un altro tentativo di spostare sul Capo dello Stato il potere di scioglimento, escludendo la maggioranza parlamentare, per favorire la destra e approfittare delle difficoltà della sinistra, si ebbe con Cossiga nel 1990 quando era Presidente del Consiglio Giulio Andreotti il quale intendeva andare avanti. Ci fu quasi una insurrezione, con la sinistra che sosteneva che non si può sciogliere il Parlamento contro il Presidente del Consiglio. Alla fine Cossiga dovette fare marcia indietro.

C'è chi si chiede se si possa aprire un conflitto tra Quirinale e Palazzo Chigi di fronte alla Consulta nel caso la controfirma non arrivasse.

Ma scusi, se le elezioni devono servire a rasserenare il clima, le pare che qualcuno vorrebbe impegnare le istituzioni in una partita che, per di più, durerebbe mesi? Piuttosto, andrebbe considerata la possibilità che sia Berlusconi a dimettersi. Allora, il Presidente della Repubblica potrebbe non dargli il reincarico e nominare un nuovo governo che, se avesse la maggioranza parlamentare, potrebbe gestire la transizione e, se non la ottenesse, assicurare quella famosa controfirma al Presidente della Repubblica. Anche in questo caso c'è un precedente: nel 1972 Leone nominò un nuovo governo; Andreotti non ottenne la fiducia ma garantì la controfirma per lo scioglimento delle Camere. Fu una soluzione molto criticata ma, comunque, è un precedente».

Insomma, la partita si gioca soprattutto in Parlamento.

Ripeto: siamo una Repubblica parlamentare, quello è il luogo nel quale si fanno le crisi. Piuttosto, quello che non mi convince è il presidente della Camera che invoca una crisi extraparlamentare.

Fini dovrebbe dimettersi? La tradizione italiana non è quella anglosassone e ci sono precedenti di Presidenti della Camera impegnati anche sul piano politico, come Casini e Bertinotti. Non è uno scandalo se resta al suo posto ma, soprattutto come Presidente della Camera, non può forzare il sistema contravvenendo a un principio cardine del regime parlamentare che è quello per cui le crisi si fanno in Parlamento sulla base di mozioni di fiducia o sfiducia.


Ma Napolitano può sciogliere le Camere?
 
Claudia Daconto (Panorama.it - 31/1/2011)

«Il presidente della Repubblica non può certo sciogliere le camere per conto suo perché ha perso la pazienza». Di fronte al moltiplicarsi degli appelli provenienti da più parti affinché Giorgio Napolitano si incarichi di porre rimedio alla crisi istituzionale che attanaglia il Paese, il costituzionalista Enzo Balboni, docente di Istituzioni di Diritto pubblico e Istituzioni di Diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano, esclude che il capo dello Stato possa decidere  di prendere un’iniziativa del genere essendo egli, nell’esercizio della sua carica, un arbitro dotato solo di poteri di stimolo e freno.

Professore, di fronte a un conflitto tra poteri sempre più profondo e quasi ingestibile, Napolitano potrebbe decidere di sciogliere le camere?
L’articolo 88 della Costituzione prevede che egli possa farlo solo una volta sentiti i loro presidenti e di fronte a fatti di natura parlamentare molto gravi o in situazioni di estremo pericolo per il Paese rispetto ai quali il governo resti inerte.

Per esempio?
Un gravissimo tracollo economico del Paese: la Borsa perde il 5% al giorno e il governo non interviene; una recrudescenza di episodi di criminalità che mettono in pericolo la sicurezza nazionale. Ma deve comunque sempre trattarsi di situazioni estreme.

Quali sono, invece, i “fatti di natura parlamentare” di fronte ai quali il capo dello Stato può sciogliere le camere?
Ad esempio una situazione di parità sul voto di giovedì in Bicameralina sul federalismo. Se dovesse poi ripetersi anche in una successiva votazione, Napolitano potrebbe convocare i presidenti di Camera e Senato e chiedere loro se in Parlamento c’è ancora una maggioranza in grado di andare avanti. In caso negativo potrebbe dare un preincarico a una personalità abbastanza equidistante dai due schieramenti per verificare se è in  grado di portare avanti la legislatura. Qualora persista l’impossibilità di costituire un esecutivo sorretto da una maggioranza parlamentare, il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere.

Ricapitolando: solo davanti a un pericolo concreto per le sorti del Paese o qualora la maggioranza venisse ripetutamente battuta in Parlamento si può mettere in moto il meccanismo che porta allo scioglimento delle camere. Napolitano non può fare altro?
In effetti c’è una terza via ed è stata anche ipotizzata qualche giorno fa in una trasmissione televisiva: se 316 deputati decidessero di dimettersi, ciò provocherebbe lo scioglimento delle camere e se anche fossero in 280 Napolitano potrebbe prendere in considerazione di farlo.

C’è mai stato un precedente in Italia?
Sì, accade prima dell’ingresso dell’Italia nella I guerra mondiale quando quattrocento deputati, che da soli costituivano la maggioranza assoluta della Camera, presentarono i loro biglietti da visita all’ex capo del governo Giovanni Giolitti per manifestargli solidarietà rispetto alla posizione di neutralità assunta contro quella interventista dell’allora presidente del Consiglio Salandra che fu costretto a dimettersi.

Secondo lei cosa pensa Napolitano di come Fini e Schifani stanno gestendo il loro ruolo di presidenti di Camera e Senato?
Napolitano percepisce che entrambi sono ormai sempre più lontani da quella terzietà che il loro ruolo gli impone. Da una parte è vero che Fini è sempre stato attento a non confondere il suo incarico di capo di un partito, ormai d’opposizione al governo, con quello istituzionale, ma certamente questa situazione non può durare all’infinito soprattutto in un’eventuale campagna elettorale quando credo che Fini sarà davvero costretto a dimettersi. D’altra parte, anche il gesto di Schifani di calendarizzare in fretta e furia il dibattito sulla casa di Montecarlo non è stato né elegante né bello e dimostra che quando la lotta politica raggiunge certi livelli tutti usano le stesse armi.

Possono il presidente del Consiglio chiedere le dimissioni di quello della Camera e quello della Camera le dimissioni del presidente del Consiglio come avviene ormai da tempo?
Possono farlo da un punto di vista politico, ma richieste di questo genere non hanno alcun fondamento giuridico-legale. Nessuno può costringere l’altro a dimettersi a meno che, nel caso del presidente del Consiglio, venga approvata una mozione di sfiducia. Quella contro il presidente della Camera è invece inammissibile.

C’è una circostanza per la quale Berlusconi potrebbe davvero essere costretto a dimettersi anche senza voto di sfiducia?
Credo che tutto dipenda da quello che ha detto ai pm Nicole Minetti nell’ambito dell’inchiesta sul caso Ruby. Se lei avesse deciso di smarcarsi da Berlusconi testimoniando che ci sono stati passaggi di denaro allora ciò entrerebbe in contraddizione da quanto dichiarato dal premier e visto che, per la carica che ricopre, egli è tenuto a dire il vero, a quel punto si aprirebbe per lui un baratro.