Di Gianni Ferrara - liberazione.it
Stanno emergendo segni promettenti di riscossa popolare. Non ci si rassegna più, ci si oppone alla strategia distruttiva di socialità, solidarietà, diritti, che il capitale globale, da venti anni e più, ha scatenato per annientare le conquiste di civiltà prodotte dal movimento operaio nel secolo scorso.
Ne è prova la resistenza al dominio padronale degli operai di Pomigliano e di Mirafiori, lo rivelano i risultati delle elezioni di maggio e dei referendum del 12-13 scorso. Il “no” al centro-destra nelle amministrazioni locali e il “sì” ai beni comuni dell’acqua, della sicurezza ambientale, dell’eguaglianza dinnanzi alla legge si ispirano agli stessi principi, concorrono agli stessi obiettivi.
Si aggiunge ora l’iniziativa referendaria sulle leggi per l’elezione della Camera e del Senato.
 
Un’iniziativa più che opportuna, necessaria, provvida. Ha per obiettivo ... un primato. Quello delle leggi elettorali peggiori del mondo. Lo conquistò Berlusconi per affibbiarlo all’Italia e dominarla.
La Costituzione stabilisce che sono elettori tutti i cittadini, maschi e donne, e che il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Si tratta di principi inderogabili. Le leggi elettorali, che servono a tradurre i voti in seggi delle assemblee parlamentari, dovrebbero attuare questi principi.
Sia per garantire le elettrici e gli elettori che, nel voto e col voto, esprimono la loro volontà, libera da ogni costrizione, i loro interessi, quelli materiali e quelli ideali, i loro obiettivi di vita individuale e sociale. Sia per assicurare al Parlamento la sua ragion d’essere, effettiva, credibile, quella della rappresentanza, visto che nell’età contemporanea la democrazia è rappresentativa o non è. Invece di sostanziare questa democrazia, di iniettarle dosi massicce di partecipazione popolare, la si è svilita, mistificata, dissolta.
Al corpo elettorale si è strappato il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Alla Camera ed al Senato non ci sono più gli eletti dal popolo. Sui banchi di quelle Aule siedono gli amici stretti, gli agenti, i clienti, i compari dei cinque o sei segretari di partito che, collocandoli nella posizione adeguata di lista, li hanno “nominati” membri del Parlamento. La rappresentanza del popolo è stata sottratta al popolo. Ad usurparla sono coloro che dispongono del potere di formare le liste dei candidati, i leader dei partiti.
Con un’aggravante. Chi di loro vince l’elezione diventa Presidente del Consiglio non perché gode della fiducia dei rappresentanti del popolo nelle due Camere. Questi rappresentanti non ci sono più. Sono stati sostituiti dai fiduciari del leader, quelli che ha collocato nella testa di lista dei candidati al Parlamento. La forma parlamentare di governo è stata capovolta. Per neutralizzare il Parlamento svuotandolo di potere reale.
C’è di più. Le leggi sui sistemi elettorali per la Camera e per il Senato demandano all’Ufficio elettorale nazionale presso la Cassazione – quindi ad un ufficio dell’organo supremo di garanzia della legalità – il compimento di alcune operazioni inequivocabilmente qualificabili come reati se non fossero invece previste ed imposte con legge. Le operazioni sono quelle di accertare il numero di voti ottenuti dalle liste (o dalle coalizioni di liste) e di attribuire a quella lista (o coalizione di liste) che abbia avuto un voto in più di ciascuna delle altre, un numero di seggi diverso da quello che, in base ai conti, le spetterebbe. Un numero diverso e maggiore, 340 su 630 alla Camera, il 55 per cento in ciascuna Regione per il Senato. Lo si chiama “premio di maggioranza” falsificando il risultato accertato delle votazioni. Innanzitutto denominando di maggioranza la lista che si “premia”. Che di maggioranza infatti non è perché, appunto, qualunque sia il numero di voti che abbia realmente ottenuto, anche se solo il quaranta per cento, o il trenta o meno ancora, basta ad una lista, per ottenere il “premio”, un voto solo in più di quelli raccolti da ciascuna delle altre. Non è quindi un premio conferito alla maggioranza, ma ad una minoranza, che si pone sicuramente come tale rispetto alla somma dei voti di tutte le altre. Trasformare una minoranza in maggioranza è falsificazione plateale della verità. È anche, e soprattutto, violazione radicale di un principio elementare di eguaglianza. Diventandolo a mezzo legge, contraddicendone l’essenza, è attentato supremo alla legalità e alla democrazia.
Come se non bastasse. Le due leggi elettorali prevedono che le liste siano accompagnate da un programma di governo e dall’indicazione del “capo” della lista (o della coalizione di liste) candidandolo, implicitamente ma chiaramente, alla massima carica di governo. Si tratta di una subdola manipolazione in senso presidenziale della nostra forma di governo, quella che il corpo elettorale volle confermare come parlamentare nel referendum costituzionale del 25-26 giugno 2006.
È alla eliminazione di queste storture, falsificazioni, distorsioni della democrazia, che mirano i tre quesiti proposti per il referendum sulle leggi elettorali. La loro approvazione determinerebbe l’effetto di trasformare il sistema attuale per la Camera in proporzionale di lista, con soglia di sbarramento del 4 per cento. Diverrebbe proporzionale anche quello del Senato con collegi uninominali la cui soglia di sbarramento sarebbe determinata dalla estensione delle circoscrizioni.
Un risultato che ricostruirebbe la rappresentanza politica, il ruolo del corpo elettorale e del Parlamento, quindi la forma della democrazia. La accosterebbe a quella disegnata in Italia nel “clima costituente”, il più alto della nostra storia.