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Purtroppo, di nuovo in evidenza: Stop Racism
Ugo De Siervo da lastampa.it
La Corte costituzionale con la sentenza n.22 di quest’anno (relatore Silvestri) ha opportunamente tutelato l’autonomia finanziaria delle Regioni dall’ennesimo svuotamento, ma ha soprattutto posto un importante limite alla prassi del nostro Parlamento di approfittare della conversione dei decreti legge per far passare frettolosamente le più varie innovazioni, sostanzialmente estranee al contenuto dello stesso decreto legge da convertire.

Dato che è evidente che la stagione dei decreti legge continua, è bene che si prenda atto di questa importante linea giurisprudenziale, che potrà avere molte altre applicazioni in futuro, se il Parlamento non correggerà davvero la sua cattiva abitudine di cercare di attaccare i più vari «vagoncini» (e cioè i più vari contenuti normativi) alla «locomotiva di passaggio» (e cioè il decreto che deve essere necessariamente convertito entro sessanta giorni). Intanto è significativo che la sentenza riguardi il cosiddetto «decreto mille proroghe» dell’anno scorso e cioè un testo legislativo molto recente: in casi del genere si vede il vantaggio di avere una Corte costituzionale che non ha arretrati che ritardino il suo sollecito intervento.

Nella sostanza le sei Regioni che hanno impugnato un articolo della legge 10/2011 contestavano giustamente che si fosse imposto alle Regioni colpite da calamità imprevedibili di poter sperare di accedere al fondo nazionale per la protezione civile solo dopo aver utilizzato al massimo i loro poteri di aumento delle imposte a carico dei cittadini. Sembrava paradossale che, dopo tante chiacchiere sul «federalismo fiscale», in un ambito di competenza statale come la protezione civile, in sostanza si imponesse alle Regioni colpite dalle più varie calamità di alzare al massimo le proprie imposte per poter sperare di accedere ai finanziamenti statali (da ciò la definizione di «tassa sulla disgrazia» e perfino la tendenza dei Presidenti delle Regioni a non proclamare lo stato di emergenza).

Ma il fatto più significativo è che la Corte costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale di queste disposizioni innanzi tutto perché erano state aggiunte dal Parlamento in sede di conversione del decreto legge e non avevano alcuna relazione con altre disposizioni dell’originario testo deliberato da governo ed emanato dal Presidente della Repubblica. Il Parlamento può ben emendare, mediante correzioni od anche integrazioni, le disposizioni del decreto legge, ma non può inserirvi norme «del tutto estranee alla materia ed alle finalità del medesimo». In effetti il decreto legge cosiddetto «mille proroghe» si riferiva alla «proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese ed alle famiglie», mentre le disposizioni contestate pretendevano di modificare stabilmente il funzionamento della protezione civile ed il riparto delle spese in materia fra Stato e Regioni.

E, ancora più in generale, la Corte costituzionale ha affermato con grande chiarezza che il Parlamento non può, in sede di conversione di un decreto legge, approfittare di questo speciale procedimento, che ha tempi particolarmente rapidi e procedure del tutto particolari: pur non escludendosi la possibilità di eventuali emendamenti, questi devono incidere soltanto sulla normativa originariamente prevista nel decreto legge o essere solo tecnici o formali.

Trova così esito concreto una risalente linea critica, che però finora era rimasta solo a livello di suggerimenti od auspici autorevoli: è la stessa Corte che ricorda norme di legge e di regolamenti parlamentari, per non parlare delle prese di posizione del Presidente della Repubblica e dei Presidenti delle Camere, a favore della sostanziale omogeneità delle norme delle leggi di conversione con le norme dei rispettivi decreti legge. Ma adesso, invece, è la Corte costituzionale che taglia il nodo, dichiarando l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, poiché il secondo comma dell’art. 77 della Costituzione impone «l’esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto legge emendamenti del tutto estranei all’oggetto ed alle finalità del testo originario».

Su questa base, la Corte costituzionale avrà molto da lavorare, perché se già le vicende vicine sono tante, moltissimi potranno essere i casi sollevati dai giudici, quando si troveranno a dover utilizzare disposizioni di leggi di conversione che, anche molti anni fa, potrebbero essere stati adottate in violazione del secondo comma dell’art. 77 della nostra Costituzione.