Di Franco Astengo
“No al Presidenzialismo”: un “no” da avanzare immediatamente, proprio in questo momento, in cui la proposta dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica viene “rilanciata” dall’agonizzante centrodestra e dal suo “antico” leader (sulla differenza tra presidenzialismo e semipresidenzialismo torneremo in altra occasione: adesso è il momento di proclamare nettamente, senza se e senza ma come usa dire adesso, una contrarietà di fondo).
Non basta parlare di “strumentalizzazioni”, oppure limitarci al “non c’è più tempo” riferendoci alla declinante legislatura in corso.

Stupisce, neppure troppo in verità, che non si riesca attorno all’idea della Repubblica Parlamentare, di una concezione dell’agire politico fondato sul privilegio della rappresentanza in luogo della governabilità e della personalizzazione, a raccogliere un ampio fronte politico e culturale a sinistra capace di analizzare con chiarezza i cedimenti che ci sono stati su questo terreno e riprendere in mano, con coraggio, l’idea di una politica ”forte”, capace di rovesciare, prima di tutto, il rapporto con l’economia così come questo si è configurato, negativamente, nel corso degli ultimi anni.
Ci troviamo a ridosso della ricorrenza del 2 Giugno, data fondativa della Repubblica Italiana, ed è necessario, più che mai, ricordare alcuni aspetti del nostro assetto istituzionale che, in questo momento, sono oggetto di furibondi attacchi e di proposte di revisione che si rivolgono verso un accentramento dei poteri in poche mani, a completamento del processo degenerativo avviato, a suo tempo, con la crisi dei grandi partiti di massa e l’adozione del sistema elettorale maggioritario.
Non è il caso di ricordare, se non per sommi capi, che l'Italia è una Repubblica Democratica per volontà del popolo che ne ha votato la forma di Stato in un Referendum, dopo che per un  periodo non breve le forze politiche uscite vittoriose dalla lotta di Liberazione avevano oscillato tra l'idea di affidare al popolo la scelta decisiva oppure di attribuirla all'Assemblea Costituente che sarebbe stata eletta nella stessa data del 2 Giugno 1946 (il decreto che fissa il referendum istituzionale porta la data del 10 Marzo 1946: l'obiettivo era quello che, una volta sgombrato il campo dal nodo della forma dello stato, l'Assemblea Costituente sulla base del mandato ricevuto dai cittadini avrebbe potuto dedicarsi completamente alla redazione della nuova Carta Costituzionale).
La scelta referendaria, inoltre, corrispondeva ad una ulteriore esigenza: quella di completare il processo unitario risorgimentale, considerato nell'analisi gramsciana, in una qualche misura “monco” per la mancata partecipazione delle masse popolari.
Si sanciva così, per via diretta, l'unità del Paese, dopo che – nei tragici mesi trascorsi tra l'8 Settembre ed il 25 Aprile- l'Italia era rimasta divisa.
Si tratta di elementi che vanno sottoposti, ancor oggi, alla riflessione di tutti: in una fase in cui appunto sembrano riemergere spinte verso forme presidenzialistiche, che in un momento di totale incredibilità dell’intero sistema dei partiti potrebbero anche aprire la strada ad avventure pericolose.
E' mutato, soprattutto, il ruolo del Parlamento, con un passaggio “forte” nella capacità di proposta legislativa nelle mani del Governo (governo attualmente composto da persone, ricordiamolo, mai elette in alcuna competizione elettorale: del resto i parlamentari sono stati, con questo sistema elettorale, “nominati” ed è viva la discussione su di una delegittimazione di fatto del Parlamento), attraverso un uso immotivato dello strumento dei decreti legge (uso immotivato che, ormai, risale nel tempo fin dai primi anni'80 del secolo scorso: quando cioè si cominciò a parlare di “Grande Riforma” da attuarsi in nome di un cosiddetto “decisionismo”).
Vale allora la pena, proprio in occasione della ricorrenza del 2 Giugno, recuperare i passaggi fondamentali che, sulla materia del ruolo del Parlamento, furono compiuti in sede di Assemblea Costituente.
La Costituente accettò (in linea con l'esito referendario) l'individuazione antifascista delle responsabilità per le origini della dittatura nell'atteggiamento antiparlamentare della monarchia, sancendo così il definitivo primato delle Camera nel sistema, dando così vita ad una “repubblica parlamentare”.
Concentrando, infatti, nelle due Camere, rese entrambe elettive e pari nelle attribuzioni, i maggiori poteri, la Costituzione Repubblicana pose il Parlamento in una posizione di evidente supremazia rispetto agli altri organi dello Stato.
Il Governo, infatti, appare ad esso sottoposto sul piano formale, sia per il voto di fiducia che lo lega alle Camere in un rapporto di dipendenza politica, sia per il costante esercizio della funzione ispettiva e di controllo sui suoi atti da parte delle Camere stesse.
E' anche nella determinazione delle modalità di esercizio della funzione legislativa che la Costituente parve voler impedire ogni pericolo di usurpazione da parte del Governo del potere normativo, memore sia dell'esperienza vissuta in età liberale sia di quella, ben più pesante al riguardo, dei tempi della dittatura fascista.
Tutto questo oggi, ripetiamo, è messo pesantemente in discussione e va ricordato, perché l'osservanza costituzionale è ancora legata a questi fondamentali principi che si sono manifestati nell'articolato della Carta Fondamentale, sottolineando ancora come la Costituzione stabilisca che le Camere non possono procedere alla modifica o alla riforma del testo costituzionale senza l'osservanza di un preciso procedimento di revisione (articolo 138); in secondo luogo ha, poi, assoggettato l'attività legislativa a un sindacato di legittimità costituzionale davanti a un organo speciale, la Corte Costituzionale, al fine di evitare l'introduzione nell'ordinamento stesso di norme contrarie ai principi essenziali che lo ispirano; in terzo luogo ha fissato il ruolo delle comunità intermedie, in particolare delle Regioni, modificando la tradizione accentratrice dello Stato risorgimentale ma, nello stesso tempo, garantendo l'unità statuale; infine va rammentata l'introduzione del referendum costituzionale e del referendum abrogativo delle leggi approvate dal Parlamento, il primo a eventuale garanzia popolare contro una revisione della Costituzione che non fosse approvata da una maggioranza parlamentare troppo ampia, il secondo a tutela delle aspirazioni e degli interessi dell'elettorato contro un’attività legislativa ritenuta impopolare, affiancando così alla democrazia rappresentativa caratterizzante il sistema, un istituto di democrazia diretta, stabilendo nel contempo una sorta di controllo popolare sull'operato normativo della classe politica.
Non si trova, com’è noto, in Costituzione un capitolo riguardante le leggi elettorali: ma l'idea di un Parlamento sovrano richiederebbe una legge elettorale tale da consentire il massimo possibile delle espressioni delle culture e delle sensibilità politiche presenti nel Paese; si può ben dire che le modifiche alla legge elettorale avutesi nel 1993 e nel 2005 siano andate in direzione contraria, tentando di affermare il primato della governabilità rispetto a quello del dibattito parlamentare.
Il sistema elettorale proporzionale risulta essere, di conseguenza, quello più coerente con l’idea di impianto istituzionale contenuto nella Costituzione Repubblicana.
Ecco: abbiamo ricordato, forse pedantemente, queste cose al riguardo del ruolo del Parlamento perché si abbia chiaro, all'interno della ventata populistica e  della cosiddetta “antipolitica” che stiamo subendo, ciò che di più prezioso è necessario difendere nell'ambito della nostra democrazia repubblicana.
Su queste basi andrebbe recuperato, a nostro avviso, un discorso unitario da parte delle forze che intendono opporsi a questo pericoloso stato di cose: si tratta di contenuti di assoluta discriminante in questa fase per tracciare un solco d’identità e di autonomia politica per un nuovo, indispensabile, discorso a sinistra.
Le forze politiche ancora esistenti (PD, SeL, FdS) sarebbero chiamate a fornire una risposta sul da che parte stare: da un lato la Repubblica parlamentare disegnata dalla Costituzione, dall’altra l’americanizzazione (termine usato tanto per intenderci alla svelta) composta da presunto decisionismo reclamante una governabilità senza principi
Una frontiera non da poco rispetto a una discriminante decisiva nella qualità dell’azione politica che, dal nostro punto di vista, intendiamo difendere e rilanciare.