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Purtroppo, di nuovo in evidenza: Stop Racism
La violazione dell'obbligo di repechage rende illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ma la conseguenza è solo un'indennità risarcitoria in favore del lavoratore licenziato (e non la sua reintegrazione), se la soppressione del posto di lavoro è effettiva.
Il Tribunale di Milano (ordinanza 28 novembre 2012) applica per la prima volta questo principio, diretta conseguenza delle modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori operate dalla Riforma Fornero. Comincia così a manifestarsi concretamente la portata innovativa della riforma: la reintegrazione non solo cessa di essere la conseguenza automatica di ogni licenziamento invalido, ma può essere disposta (nel licenziamento per ragioni oggettive) solo qualora si accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento.
Nel caso deciso dal giudice milanese, il licenziamento era motivato dalla cessazione dell'appalto al quale era addetto il lavoratore. La circostanza era documentalmente provata e non contestata in giudizio. Il datore di lavoro non aveva però dimostrato l'impossibilità di reimpiegare il dipendente in altri appalti gestiti dalla società. In ragione di ciò, il giudice ha ritenuto illegittimo il licenziamento.
 
Prima della riforma, il discorso sarebbe finito qui, e il lavoratore sarebbe stato reintegrato. Ora invece il giudice è chiamato a un'ulteriore valutazione: una volta accertata l'illegittimità del licenziamento, deve essere individuata la sanzione applicabile, seguendo il criterio stabilito dalla legge (sussistenza o meno del fatto posto a base del licenziamento). E nel caso in questione il fatto invocato dal datore di lavoro a sostegno del provvedimento di recesso (la cessazione dell'appalto) sussiste. Quindi non è possibile reintegrare il lavoratore, ma solo indennizzarlo (nella fattispecie con venti mensilità di retribuzione, così determinate tra il minimo di dodici e il massimo di ventiquattro previsti dalla legge).
 
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