Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Procedimento n. 651/2013
Sez. II Bis
Udienza del 4 aprile 2013
Memoria di replica
Per Franco Ragusa,  come in atti – ricorrente
Contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Interno
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Si richiama quanto già articolato e richiesto nell’atto introduttivo del giudizio.
Con riguardo all’avversa eccezione di difetto assoluto di giurisdizione contenuta nella  memoria difensiva prodotta dall’Avvocatura Generale dello Stato, va rilevato che la stessa semplicemente richiama la sentenza del 13.3.2008, n. 1053, resa in materia dal Consiglio di Stato, e non ripercorre la vicenda che parte dalla sentenza n. 1855/2008 del TAR del Lazio e dalla successiva pronunzia del Consiglio di Stato, e poi passa attraverso le pronunzie degli organismi parlamentari, per giungere oggi nuovamente all’esame del giudice amministrativo.
L’elettore ricorrente - prendendo atto delle sentenze sopra citate - ha dapprima chiesto un pronunciamento delle Camere ed ora torna al giudice amministrativo per ottenere una decisione sulla legittimità di un “atto”  che si ritiene adottato sulla base di una previsione di legge evidentemente viziata da un contrasto con le disposizioni contenute nella nostra carta costituzionale.
Ove si ritenesse che il cittadino – elettore, trovandosi di fronte ad una legge ordinaria in siffatta materia elettorale che sia caratterizzata da manifesta incostituzionalità, non abbia la possibilità nell’ambito di un giudizio di fare ritenere rilevante e non manifestamente infondata la medesima questione di legittimità, ci troveremmo per ciò stesso in presenza di una violazione del disposto di cui agli articoli 24 della Costituzione, ed a fronte di ciò si resterebbe nell’assoluta e piena discrezionalità delle scelte legislative sottratte ad ogni possibile vaglio di costituzionalità, anche se le stesse scelte travolgessero diritti ed interessi legittimi.
Non ci si troverebbe, quindi, di fronte ad ipotesi riguardanti l’assenza di strumenti correttivi, bensì, come la successione storica degli eventi ha ben evidenziato, alla concreta impossibilità di garantire la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti.
Il primo interrogativo al quale il giudice amministrativo è chiamato a rispondere è come tutelare il diritto del singolo elettore ad esercitare in maniera costituzionalmente corretta il diritto di voto per l’elezione del Parlamento, diritto inteso non solo come mera partecipazione con pari diritti in riferimento all’esercizio di voto goduto dagli altri elettori ma in quanto esplicazione della propria quota-parte di sovranità popolare “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Peraltro dai risultati delle elezioni politiche svoltesi il 24 e 25 febbraio 2013 esce forte la conferma della irragionevolezza del sistema, sia con riferimento alla elezione dei componenti la Camera dei Deputati che con riguardo alla formazione del Senato della Repubblica, con l’effetto tra l’altro di sin troppo evidente scarsa corrispondenza tra i voti realmente avuti e la distribuzione dei seggi, conseguenza di una legge elettorale che assegna un premio di maggioranza alla coalizione che ha ottenuto la maggioranza relativa dei consensi sino al conseguimento del 55% dei seggi alla Camera o del 55% dei seggi assegnati Regione per Regione per quanto riguarda il Senato, senza la previsione di una soglia minima di voti o di seggi da dover raggiungere.
Per fare un esempio i primi due partiti per numero di voti, entrambi poco sopra il 25% dei voti validamente assegnati, sono divisi da uno scarto di pochissimi voti ma da un’enorme differenza in seggi: 292 per il Partito Democratico, cioè il 45.65% dei seggi, contro i 108, ovvero il 16,87% dei seggi, del Movimento 5 Stelle.
Si tratta della violazione del diritto, in primo luogo dell’elettore, ad una ragionevole corrispondenza tra i voti espressi ed i seggi attribuiti, salvo il correttivo possibile in senso maggioritario ma basato su un principio di ragionevolezza.
Pertanto, con riguardo al presente ricorso, permane l’interesse del ricorrente affinché il Giudice amministrativo intervenga, rimettendo l’esame di costituzionalità della legge alla Corte Costituzionale. Ciò solo potrebbe determinare un intervento tale da garantire l’effettivo godimento di un esercizio del diritto di voto che consenta a tutti gli elettori di “concorrere, con metodo democratico e pari diritti, a determinare la politica nazionale”.
La  crescente astensione, un altro 5,5% di non votanti che va ad aggiungersi alla già ampia area del non voto, è certamente indicativa di una crescente percezione e consapevolezza che la legge elettorale non è in grado di garantire l’effettivo esercizio di un  diritto di voto che consenta a tutti gli elettori di “concorrere, con metodo democratico e pari diritti, a determinare la politica nazionale”.
Una certezza in ogni caso c’è: il dato elettorale di queste ultime elezioni, facendo i conti tenendo in debita considerazione l’intero corpo elettorale, è ancor più sconfortante delle precedenti. 
Nel caso delle ultime consultazioni elettorali si è evidenziato infatti in maniera inequivocabile l’irragionevolezza della mancata previsione di una soglia oltrepassata la quale si ha l’attribuzione di un premio di maggioranza, laddove si rifletta che nel 2006 la coalizione vincente alla Camera dei Deputati ottenne il consenso del 40% degli aventi diritto; la coalizione vincente ha ottenuto il 36% degli aventi diritto nel 2008; e la coalizione vincente ha ottenuto soltanto poco più del 21% degli aventi diritto nel 2013, ottenendo sempre il 55% dei seggi.
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Nel ricorso si è evidenziata la natura delle norme legislative che precedono gli atti impugnati, ed in particolare con riguardo agli atti censurati si è posto in rilievo la violazione di legge per illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale (per violazione degli articoli 117, primo comma, 1, secondo comma, 2, 48, secondo e terzo comma, 58, primo comma, 67 della Costituzione, e dell’art. 3 del Protocollo 1, della C.E.D.U.) degli articoli 1, primo comma, 4, comma secondo, 59, 83, commi 2, 3, 4 e 5, del D.P.R. n.361 del 1957 nel testo vigente, nella parte in cui prevedono l’attribuzione di un premio di maggioranza fino al raggiungimento di 340 seggi della Camera dei Deputati e la violazione di legge per illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale (per violazione degli articoli 117, primo comma, 1, secondo comma, 2, 48, secondo e terzo comma, 56, primo comma, 67 della Costituzione, e dell’art. 3 del Protocollo 1, della C.E.D.U.) degli articoli 1, comma 2, 14, 16, 17, 19, 27, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 nel testo vigente, nella parte in cui prevedono prevedono l’attribuzione di un premio di maggioranza fino al raggiungimento del 55 per cento dei seggi del Senato assegnati alla regione, con arrotondamento all'unità superiore.
Un’interpretazione restrittiva del controllo di costituzionalità delle leggi ordinarie in capo alla Corte Costituzionale, si è detto nel ricorso e lo si ribadisce in sede di replica, non è  desumibile, anche in relazione al dictum dell’art. 66 della Costituzione, dal dettato costituzionale, che affida alla sola Corte Costituzionale il potere di giudicare "sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni" (art. 134).
Laddove esistessero norme che possano essere interpretate in modo da impedire di porre in materia la questione di legittimità costituzionale dell’ enorme dettate in materia elettorale, s'imporrebbe di sollevare la questione di legittimità costituzionale anche dell’art. 87 del D.P.R. 30 marzo 1957, n 361 e successive modifiche.
Si è affermato nel ricorso, e si ribadisce in sede di replica, che “al Giudice amministrativo sono devoluti esclusivamente i giudizi relativi alle operazioni elettorali, mentre all’Autorità Giurisdizionale Ordinaria spetta conoscere delle controversie in tema di ineleggibilità e incompatibilità. Di conseguenza, poiché con il presente ricorso vengono dedotte soltanto censure concernenti le modalità di svolgimento delle operazioni elettorali, non sembra che possa sorgere dubbio alcuno sulla competenza di codesto Tribunale Amministrativo Regionale a conoscere delle questioni che qui vengono dedotte.”
Ed ancora: “Con riferimento alla competenza del giudice amministrativo in materia è intervenuta la legge 69/2009 che – nell’ambito della delega per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato la conferisce tra l’altro – all’art. 44, comma 2, lett. d)  anche per “razionalizzare e unificare le norme vigenti per il processo amministrativo sul contenzioso elettorale, prevedendo il dimezzamento, rispetto a quelli ordinari, di tutti i termini processuali, il deposito preventivo del ricorso e la successiva notificazione in entrambi i gradi e introducendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di consiglio che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento delle elezioni”. Orbene la mancata previsione nel codice del processo amministrativo della competenza dell’A.G.A.  in materia comporta la violazione della richiamata legge delega e la necessità di sollevare anche sotto tale profilo specifica questione di legittimità costituzionale delle norme laddove non prevedono la competenza esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.”
Si è ancora evidenziato – e sul punto la memoria dell’Avvocatura non entra nel merito – che  la violazione della delega contenuta nella legge 69 del 2009 impedisce di esercitare il diritto ad un “ricorso effettivo” alla giustizia, ai sensi dell’art. 13 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, per la tutela del diritto degli elettori a libere elezioni così come garantito dall’art. 3 del Protocollo n.1 della CEDU, con violazione quindi – anche sotto tale profilo - dell’art. 117 della Costituzione.
Va ancora una volta rammentato che proprio la Corte Costituzionale, nella sentenza n.15 del 2008, pur consapevole di non potere dare in sede di ammissibilità del referendum un giudizio anticipato di incostituzionalità delle norme, afferma che “ogni ulteriore considerazione deve seguire le vie normali di accesso al giudizio di costituzionalità delle leggi. L'impossibilità di dare, in questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi”.
Ha poi la Corte stessa ritenuto di non potersi esimere “dal dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi”.
Tale connvizione la Corte ha poi manifestato nella sentenza n. 16 del 2008, riguardante la normativa sul Senato della Repubblica.
La normativa denunciata è quindi viziata di illegittimità costituzionale perchè consente che le maggioranze non siano genuina espressione del voto espresso dal corpo elettorale, ma che si formino in base all’attribuzione di un premio secondo un criterio arbitrario, irrazionale e casuale (con assenza di una soglia minima di suffragi).
Questo sistema – si è sostenuto nel ricorso “viola il principio di cui all’articolo 48 della Costituzione dell’eguaglianza anche sostanziale del voto, in base al quale non può darsi valore o peso diverso ad un voto a seconda del risultato elettorale, e può premiare formazioni politiche sebbene siano meno rappresentative con grave distorsione della volontà degli elettori, della rappresentanza politica e dell’assetto e del funzionamento delle Camere”.
La ”irragionevolezza” normativa costituisce manifesto vizio di incostituzionalità e nelle vigenti leggi elettorali per la Camera e per il Senato la ”irragionevolezza” si rivela sotto più aspetti.
La ”irragionevolezza” sta nella previsione stessa di un premio di maggioranza senza una soglia minima di voti ottenuti. Questo aspetto della ”irragionevolezza” è stato più volte evidenziato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze 15 e 16 del 2008 e nella sentenza n. 13 del 2012.
Sotto un altro aspetto, un premio di maggioranza non dovrebbe avere altro ragionevole scopo che quello di assicurare la governabilità, con l’assegnazione al raggruppamento più forte di una porzione di seggi maggiore di quella che le spetterebbe, in base ad un criterio proporzionale. Ma, se invece di un unico premio di maggioranza sono previsti 18 premi di maggioranza, ognuno in base ai risultati di una sola porzione di territorio (Regione), non viene premiato il partito che ha ottenuto il maggior numero di voti a livello nazionale, ma sono premiate l’omogeneità o la disomogeneità nella distribuzione dei consensi, proprio perché  - come è avvenuto -  la formazione che ha ottenuto il maggior numero di voti con riguardo all’intera Nazione, può non averlo ottenuto con riguardo alla Regione che assegna il maggior numero dei seggi, in quanto più popolosa e urbanizzata. Quindi  - ed è proprio quello che è successo -  non è stata garantita la governabilità ma, al contrario, la ingovernabilità. La formazione che ha ottenuto i maggiori consensi su base nazionale, non li ha ottenuti in Lombardia, in Campania e in Sicilia, a causa della ”irragionevolezza” del D.Lgvo 533/1993, con l’effetto che i seggi attribuiti in dette Regioni hanno paralizzato la governabilità da parte del partito più forte nel resto d’Italia, perché di fatto il premio di maggioranza si è tradotto in un premio di minoranza.
La ”irragionevolezza” deriva anche dal fatto che le modificazioni, ancora oggi vigenti, non vennero introdotte con lo scopo di eleggere il Senato della Repubblica, nell’ambito del “bicameralismo perfetto”, destinato a votare la fiducia al Governo e ad approvare le leggi ordinarie o costituzionali come previsto dalla Costituzione, bensì con il diverso scopo di eleggere il “Senato Federale” introdotto con riforma costituzionale e poi soppresso dal referendum popolare del 2006.
Gli effetti perversi della ”irragionevolezza” paventati dal ricorrenti si sono puntualmente avverati.
La situazione che si è venuta a determinare all’esito delle recenti elezioni politiche, con conseguente possibilità che si debba tornare a votare, impone che la vigente legge elettorale sia ricondotta con urgenza nell’ambito della costituzionalità. Da qui la necessità della immediata rimessione delle questioni di costituzionalità alla Consulta.
Ci si riporta alle conclusioni già formulate.
Roma, 13 marzo 2013
Avv. Milena Viggiani