Analisi sulla recente decisione dell’Assemblea Regionale Siciliana
Ora che la Sicilia ha passato il Rubicone della cosiddetta abolizione delle province, appare opportuno analizzare meglio la questione, per evidenziare ciò che la stampa generalista non conosce e, dunque, non può dire, e spiegare il perché dell’insensatezza della legge regionale siciliana.
Intanto, occorre sgomberare il campo dal primo equivoco, derivante da una comunicazione imperfetta. La riforma siciliana non fa sparire l’ente intermedio tra regione e comuni.
Una vera e propria abolizione delle province dovrebbe determinare la cancellazione dell’ente intermedio e la ripartizione delle funzioni e competenze proprie di questo tra i due rimanenti, comuni e regione, con netta prevalenza per quest’ultima, considerando il livello sovra comunale delle competenze delle province.
La riforma siciliana, invece, non cancella l’ente intermedio, ma sostituisce alle province i “liberi consorzi”, rimodulando le competenze e funzioni dell’ente intermedio. Che, dunque, resta ben saldo.
Non solo. Al posto di 9 province, sorgeranno un numero di potenziali 33 “liberi consorzi” più tre province regionali. Non proprio un esempio di razionalizzazione per accorpamento.
Vi sono, ovviamente, voci plaudenti (calati junco, ca passa la china) alla riforma, che affermano l’esatto opposto di quanto si sta qui rilevando, come quella di Massimo Costa:
Alla Camera il centrosinistra con il 29,5% dei voti ha preso il 55% dei seggi, quasi il doppio Al Tar già sollevata la questione di incostituzionalità di Cesare Maffi
Il porcellum è incostituzionale? Molti ritengono che la legge n. 270 del 21 dicembre 2005 messa a punto dall'allora ministro delle riforme Roberto Calderoli lo sia, almeno in un punto fondamentale: l'assegnazione dei premi di maggioranza (unico e nazionale, alla camera; diciassette e regionali, al senato) senza la fissazione di un quorum percentuale da superare.
Dalla loro gli avversari del porcellum vantano un richiamo della Corte Costituzionale, nella sentenza n.15 del 2008.
Esprimendosi su una proposta referendaria, e quindi non potendo fornire una sorta di giudizio anticipato d'incostituzionalità, il giudice delle leggi asserì di sentire il «dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi». In effetti, il fatto che sia sufficiente, a una lista o a una coalizione, arrivare in prima posizione per aggiudicarsi un premio di maggioranza ha prodotto risultati abnormi in queste elezioni. Alla Camera il centro-sinistra, col 29,5%, ha ottenuto il 55% dei seggi: un dovizioso premio superiore al 25%. Si noti che il dibattito, in sede di riforma elettorale, girava pure intorno alla soglia minima, spaziando da un po' più del 30% al 35% al 40% al 42%, ma nessuno postulava mai che si potesse scendere sotto il 30%.
Quanto alle circoscrizioni del Senato, in due regioni la coalizione vincente è rimasta sotto il 30%: il centro-sinistra in Piemonte e il centro-destra in Abruzzo. Fra il 30% e il 35%, poi, abbondano le regioni con maggioranze dell'uno o dell'altro schieramento.
La Suprema corte ha dichiarato ammissibile il ricorso presentato da Massimo Ciancimino, imputato nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia. Per il momento le registrazioni delle telefonate tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano non saranno distrutte
PALERMO - La corte di Cassazione ha dichiarato ammissibile il ricorso presentato dagli avvocati di Massimo Ciancimino contro la decisione del giudice per le indagini preliminari di distruggere senza il contraddittorio tra le parti, le intercettazioni delle telefonate tra l'ex ministro Nicola Macino e il capo dello Stato. L'impugnazione sarà valutata, ora, nel merito dalla sesta sezione della suprema corte il 18 aprile. Slitta, dunque, la distruzione delle intercettazioni fissata per il 13 marzo.