Con un risultato a sorpresa, sempre che i sondaggi fossero affidabili, il referendum per l'abolizione del Senato irlandese si è concluso con la sconfitta dei favorevoli.
Alcune considerazioni sono pertanto d'obbligo. O meglio, sorgono spontaneamente.
La Corte Costituzionale boccia un modo di governare che prescinde dalle regole costituzionali e punta apertamente a rovesciarle, agendo come se non esistessero.
Lo stress di una Costituzione sotto l'attacco di una classe dirigente indifferente, ingorante o apertamente ostile ai suoi princìpi si vede da tante cose. Due sentenze di incostituzionalità in un solo giorno sono però quasi un record, che mostra con nettezza a che punto sia arrivata la tensione. Se poi, come ieri è accaduto, si aggiunge un terzo problema di assoluta rilevanza costituzionale come la sovranità del Parlamento sulle spese militari, ecco che il paese si trova fotografato ad un solo passo dall'abisso.
I lavori della Commissione per le riforme costituzionali proseguono senza che l’opinione pubblica venga in alcun modo informata delle sue discussioni. È un metodo inammissibile. In materie come questa, che riguardano il destino della Repubblica, la pretesa dell’assoluta riservatezza confligge con l’esigenza democratica di una apertura che renda possibile un’attenzione vigile e un contributo da parte di tutti i cittadini interessati.
Il serial tutto italiano sul taglio delle Province conquista almeno un episodio in più. A sceneggiarlo è stata ieri la Consulta che ha giudicato incostituzionale la riforma degli enti di area vasta varata in due step dal Governo Monti e congelata fino a fine 2013. Salva invece – per effetto di un'altra pronuncia del giudice delle leggi – la riorganizzazione dei "tribunalini".
Nell'accogliere il ricorso di otto Regioni la Corte costituzionale ha censurato la decisione dell'Esecutivo precedente di utilizzare lo strumento del decreto legge per provvedere a un riordino di tipo ordinamentale delle amministrazioni provinciali. Il Dl, si legge nel comunicato della Corte, è per sua natura un «atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza». E, in quanto tale, è «strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio».
Nonostante questo principio fosse stato sancito già in passato dal giudice delle leggi, il Governo Monti vi ha fatto ricorso ugualmente. In ben due occasioni. Prima nel dicembre 2011 con l'articolo 23 del salva-Italia che trasformava le Province in organismi di secondo livello (eletti dai consigli comunali e privi di giunta) e riduceva all'osso le loro funzioni. Poi nel luglio 2012 con l'articolo 17 della spending review del luglio 2012 che disponevano la cancellazione di una cinquantina di enti su 107: quelli con meno di 350mila abitanti e un'estensione inferiore ai 2.500 chilometri quadrati, fatti salvi i capoluoghi di Regione.
Dopo il «no» della Consulta il governo punta a bloccare l'indicizzazione
La pronuncia «Il contributo di solidarietà è una palese violazione dell'articolo 53 della Costituzione»
Tre giorni fa il ministro del Lavoro Enrico Giovannini è stato chiaro sulle intenzioni del governo: «Sulle pensioni d'oro non si può mettere un contributo di solidarietà perché è stato bocciato dalla Corte Costituzionale - ha detto - ma si può bloccare l'indicizzazione (ovvero l'aggiornamento Istat)». Un «blocco» - ha aggiunto - che a seconda del livello di importo al quale si fissa «può produrre effetti non trascurabili». Si ripartirà da lì, dopo che ai primi di giugno la Consulta ha stabilito senza ombra di dubbio che il contributo di solidarietà chiesto ai pensionati che prendono più di 90 mila euro lordi l'anno viola la Costituzione.