La proposta di riforma elettorale depositata alla Camera a seguito dell’accordo tra il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi consiste sostanzialmente, con pochi corretivi, in una riformulazione della vecchia legge elettorale – il cosiddetto “Porcellum” – e presenta perciò vizi analoghi a quelli che di questa hanno motivato la dichiarazione di incostituzionalità ad opera della recente sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014.
Recentemente ho rilasciato un’intervista a “La Repubblica” (6 gennaio 2014) che, a causa di qualche taglio, può aver ingenerato qualche equivoco che qui mi sembra il caso di dissipare. Il giornalista mi ha chiesto se ritenevo il Parlamento illegittimo e, pertanto, non in grado di occuparsi della riforma elettorale. Come in altre interviste (ad es. data a “La 7” il giorno 7 gennaio) ho precisato che la questione si pone su due piani diversi, che occorre non confondere: quello giuridico e quello politico.
Sul piano giuridico il Parlamento è legittimo perché, per definizione, gli organi dello Stato non ammettono “vacanze”; diversamente dovremmo ritenere illegittimo anche il Presidente Napolitano, eletto da questo Parlamento, il giudice Giuliano Amato, nominato da questo Presidente e, in definitiva la stessa sentenza della Corte perché al voto su di essa ha partecipato Amato che non ne avrebbe avuto titolo.
Un’Odissea Giudiziaria e Elettorale di Felice Besostri
«Mio padre commerciava frutta all’ingrosso ai Mercati Generali di Milano allora in Corso XXII Marzo dove ora c’è il Largo Marinai di Italia e la Palazzina Liberty era semplicemente il posto di ristoro per gli operatori del Mercato e non il luogo delle sperimentazioni teatrali di Dario Fo e Franca Rame e successivamente, dopo un lungo periodo di abbandono degrado, la sede dei concerti di Milano Classica. A quel tempo c’erano ancora carrelli a mano con uomini tra le stanghe come animali da tiro e gli stallazzi per i cavalli e nei pressi Gualtiero Marchesi faceva le sue prime esperienze.
Ancora non sappiamo come reagiranno i cittadini europei e italiani, il 22-25 maggio quando si voterà per il nuovo Parlamento dell'Unione - se diserteranno le urne, se si interesseranno ai propri rappresentanti in Europa - ma sin da ora sappiamo una cosa: per la prima volta, nella crisi che ci assilla, parlano e decidono i popoli, e non più solo le troike, la Banca centrale, ancor peggio il Fondo monetario.