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Purtroppo, di nuovo in evidenza: Stop Racism

La “pistola carica” di un nuovo referendum elettorale

Che la maggioranza a sostegno del Governo Prodi si sarebbe ben presto sfasciata, lo si era però già capito 3 giorni dopo la vittoria elettorale.
Dall’Incontro sulla legge elettorale promosso da Mario Segni giunsero i primi venti di guerra rivolti, principalmente, contro gli alleati proporzionalisti all’interno del centrosinistra.

Sulla legge elettorale erano state fatte dichiarazioni e promesse che andavano mantenute” fu la sostanza del discorso portato avanti da Segni, Morando e Bassanini, “per questo, c’era la necessità di dare forza al Premier”.
La proposta di un nuovo referendum elettorale, quindi, come una pistola carica da mettere sul tavolo per costringere il Parla­mento ad intervenire o, nel caso ciò non fosse avvenuto, come ultima risorsa per cambiare l’assetto ritenuto sostanzialmente proporzionale.

E l’opposizione di centrodestra?
Anche all’interno del centrodestra erano presenti forze a favore del maggioritario, mise in evidenza Segni, ed era quindi possi­bile prefigurare uno scenario di consenso trasversale tra i due schieramenti. E per garantire un fronte il più allargato possibile, Bassanini sconsigliò vivamente di legare la questione del refe­rendum elettorale con la vicina scadenza del referendum costituzionale.

Viste le premesse, “ritorno alla cultura maggioritaria”, “pistole cariche” e “maggioranze trasversali”, inutile farsi illusioni circa gli aspetti sui quali il nuovo referendum avrebbe cercato d’inter­venire: nessuna correzione degli aspetti più critici ma, anzi, la loro esasperazione.

Il quesito proposto, infatti, andava nella direzione di assegnare il premio di maggioranza alle sole liste, abrogando tutti i riferi­menti della legge elettorale nelle parti in cui erano previste le coalizioni, per costringere i partiti a presentarsi, se coalizzati, in un unico listone e con un unico simbolo.
Ebbene sì, incredibile ma vero, ad essere oggetto delle ire refe­rendarie non erano le decisioni calate dall’alto, dalla scelta delle candidature da imporre agli elettori alle 1000 pagine di programma prendere o lasciare, o l’assurdo premio di mag-gioranza indefinito combinato, per di più, con le soglie di sbarramento.
No, ciò che si proponeva di abrogare era l’unico strumento che gli elettori avevano a disposizione per poter in qualche modo modellare gli equilibri interni allo schieramento che intendevano votare.
Già non avevano il voto di preferenza per scegliere i propri parlamentari; ora gli si voleva sottrarre pure la possibilità di sce­gliere quale partito votare nell'ambito di un voto espresso per una coalizione di più forze politiche.
Nelle elezioni del 2006 la geografia parlamentare delle due coalizioni era stata decisa dagli elettori, con il voto alle singole liste appartenenti all'una o alll’altra coalizione, e non dagli accordi di spartizione calati dall’alto.
Tutto ciò, evidentemente, si scontrava con la necessità delle for­ze maggiori di voler decidere, in maniera preventiva e senza alcun intervento da parte degli elettori, la formazione del futuro Parlamento.
In questa chiave di lettura erano poi da leggere gli effetti indi­retti che un tale referendum avrebbe in qualche modo esercitato negli equilibri politici.
Fu lo stesso Giovanni Guzzetta, ideatore del quesito, a chiarire che l’obiettivo, al di là del referendum proposto, era quello di superare il bipolarismo così come si era affermato per “aprire la strada ad un orizzonte bipartitico”.
L’assegnazione del premio di maggioranza alle singole liste avrebbe reso più complicato realizzare larghe coalizioni, così come era stato per le elezioni del 2006; mentre per le singole liste sarebbe inoltre scattata la ghigliottina di rigide soglie di sbarramento, 4% alla Camera, 8% al Senato, senza possibilità di recuperi.

Un anticipo del risultato referendario lo si avrà con le elezioni del 2008. Veltroni e Berlusconi, a capo di due nuovi partiti nati dalla fusione delle componenti maggiori dei due schieramenti, decisero di presentarsi, sostanzialmente, da soli, con accordi di coalizione con la sola IDV, il Partito Democratico, con Lega Nord e MPA il Popolo delle libertà.
Mediante scelte politiche che, pur se in maniera parziale, realizzarono quanto con il referendum si voleva imporre per legge, vennero a galla tutti i difetti di una legge elettorale che, con troppa facilità, era in grado di regalare larghe maggioranze parlamentari e, al tempo stesso, togliere a consistenti quote di elettorato il diritto di essere rappresentate in Parlamento.

 

 
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